Il segmento di aorta toracica che più si presta a tale trattamento è quello discendente ( tra l’arteria succlavia di sinistra ed il diaframma), perché quasi rettilineo e privo di rami importanti; esiste tuttavia la possibilità di trattare con questa tecnica da sola o associata ad un intervento chirurgico (approccio chirurgico ibrido) anche tratti più complessi dal punto di vista anatomico, come l’arco aortico (da cui nascono le arterie che nutrono il cervello), l’aorta ascendente da cui originano le arterie coronariche ed il tratto toraco-addominale da cui nascono le arterie per i visceri addominali. In caso di aneurisma dell’aorta addominale viene trattato il segmento di aorta al di sotto dell’emergenza delle arterie renali (ci deve essere una distanza minima di circa 1 cm tra le arterie renali e la dilatazione aneurismatica)
Il sito di accesso vascolare più utilizzato è una delle arterie dell’arto inferiore (di solito l’arteria femorale) che può essere incannulata direttamente all’inguine, per via percutanea, oppure previo isolamento chirurgico. L’intera procedura viene eseguita sotto controllo angiografico e ciò richiede una sala attrezzata con angiografo oppure una vera sala operatoria cosiddetta ibrida. La procedura viene di solito eseguita da un team multidisciplinare composto dall’anestesista, dall’emodinamista (cardiologo interventista) o da un radiologo interventista, dal chirurgo vascolare o dal chirurgo cardio-toracico.
In commercio in Italia esistono ormai numerose endoprotesi (Gore, Medtronic, Cook, etc.) ciascuna scelta dagli operatori in base alle specifiche caratteristiche tecniche. Il principio alla base del loro impiego è quello di escludere dall’interno la sacca aneurismatica per impedirne l’ulteriore espansione e quindi la rottura.